lunedì 27 febbraio 2012

Le parole del Papa alla GMG: Buenos Aires 1987

Riviviamo oggi la Giornata Mondiale della Gioventù del 1987, tenutasi a Buenos Aires, rileggendo il discorso ufficiale del papa, la sua omelia e l'angelus, rivolti direttamente ai giovani:


VIAGGIO APOSTOLICO IN URUGUAY, CILE E ARGENTINA
DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI GIOVANI CONVENUTI A BUENOS AIRES PER
LA GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ 1987
«Avenida 9 de Julio» - Buenos Aires (Argentina)
Sabato, 11 aprile 1987

1. “Noi abbiamo riconosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi” (1 Gv 4, 16).
Carissimi giovani.
È per me una grande gioia poter stare con voi questa sera, al termine di una intensa giornata e quasi alla fine della mia visita pastorale in Uruguay, Cile ed Argentina, che si conclude domani, Domenica delle Palme, con la celebrazione della Giornata Mondiale della Gioventù! L’incontro di questa vigilia ci introduce nel clima proprio di tale giornata, che è un clima di fede nell’amore che Dio ha per noi.
Sono venuto a riposare un po’ con voi, carissimi giovani. Sono venuto per ascoltarvi, per parlare con voi e per pregare insieme. Voglio ripetervi, ancora una volta - come vi dissi nel primo giorno del mio pontificato - che “siete la speranza del Papa”, “siete la spettanza della Chiesa”. Ho sentito molto la vostra presenza ed amicizia in questi anni del mio ministero universale nella Chiesa! Il vostro affetto e le vostre preghiere non hanno mai cessato di sostenermi nell’adempimento della missione che ho ricevuto da Cristo.
Oggi siete qui presenti, giovani venuti da tutto il mondo: dalle diverse regioni dell’Argentina, dell’America Latina e da tutti i continenti; dalle diverse Chiese particolari e dalle associazioni e movimenti internazionali. Vi saluto con tutto il mio affetto ed in voi saluto anche tutti i giovani del mondo, poiché l’amore che Dio ha per noi raggiunge tutti.
Il tema di questa Giornata Mondiale, tratto dalla Prima Lettera dell’apostolo san Giovanni, ci manifesta la fede dei primi cristiani, ed in particolare la fede dell’apostolo, che seguì il Signore fin da giovane, crescendo in tale fede ed amore fino alla vecchiaia. Proprio alla fine dei suoi giorni sulla terra egli scriveva: “Noi abbiamo riconosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi. Dio e amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui” (1 Gv 4, 16). È questa una commovente testimonianza di ciò che chiamiamo anche gioventù cristiana dello spirito, che consiste nel rimanere sempre fedeli all’amore di Dio. L’unione con Dio ci fa crescere ogni giorno in tale gioventù. Al contrario, tutto ciò che ci separa da Dio - il peccato con tutte le sue conseguenze - è cammino certo di invecchiamento interiore, di anchilosamento e di torpore per conoscere e vivere la continua novità dell’amore di Dio, che ci è stata rivelata in Cristo.
Mi rivolgo ora specialmente a voi, amati giovani argentini, che siete la maggioranza dei presenti. Vi ringrazio a nome di tutti, per l’immenso lavoro della preparazione della giornata e per la cordialità della vostra giovanile accoglienza.
In questa prima parte del nostro incontro, avete voluto riflettere sulle vostre preoccupazioni ed inquietudini, sui vostri desideri ed aspirazioni. So che siete ben decisi a superare le dolorose e recenti esperienze nella vostra patria, opponendovi a tutto ciò che attenta alla convivenza fraterna di tutti gli Argentini, fondata sui valori della pace, della giustizia e della solidarietà. Che il fratello non si scontri più con il fratello; che non ci siano più sequestrati né “desaparecidos”; che non ci sia posto per l’odio, la violenza; che la dignità della persona sia sempre rispettata. Per trasformare in realtà queste aspirazioni di riconciliazione nazionale, il Papa vi chiama ad impegnarvi personalmente, con la vostra fede in Cristo, nella costruzione di una nazione di fratelli, figli dello stesso Padre che è nei cieli. Vi invito a rinnovare l’impegno che avete formulato - insieme ai vostri Vescovi - nel grande raduno giovanile di Córdoba, nel settembre del 1985. Ora lo fate con il successore di Pietro, che è venuto per confermare la vostra fede ed assicurare la vostra speranza.
Ringraziate il Signore per il patrimonio di fede innestato nel dinamismo nazionale e popolare dell’Argentina. Spetta a voi assumere la responsabilità di vivificare la vostra generazione con tale patrimonio e dimostrare così la permanente vitalità e attualità di Cristo. Per questo è necessario che tutti voi - ciascuno e ciascuna - rispondano generosamente alla voce di Gesù che oggi continua a dirci, così come agli inizi della sua predicazione in Israele: “Convertitevi e credete al Vangelo” (Mc 1, 15). Il Signore ci rivolge un appello vibrante e persuasivo alla conversione personale, che trasformi tutta la nostra esistenza, in modo che non viviamo più per noi stessi, ma per colui che ci ha amati e ha dato se stesso per noi (cf. Gal 2, 20).
La fedeltà a Cristo esige che lo si conosca e lo si frequenti - come maestro ed amico -, profondamente e tenacemente. La lettura frequente della sacra Scrittura - specialmente del Vangelo - lo studio serio della dottrina di Cristo, insegnata con autorità dalla sua Chiesa, la frequenza ai sacramenti, e la conversazione quotidiana con Gesù nell’intimità della vostra preghiera, saranno i canali privilegiati per progredire nella viva conoscenza di Cristo e del suo messaggio di salvezza.
Nel considerare questo panorama di conversione nella fede e nell’amore, sentite il peso dei vostri peccati e delle limitazioni, tornate a riporre la vostra fiducia in Cristo, che non ci abbandona mai. Ricorrete alla grazia dei sacramenti che ha lasciato alla sua Chiesa ed in particolare all’abbondanza del perdono divino, che ci viene conferito nella penitenza sacramentale.
Pensate che il Signore conta sulla vostra vita di fede - manifestata in parole ed opere - per rendersi presente nella vostra patria. Il Signore guarda con affetto e benedice tutte le vostre iniziative ed attività apostoliche, personali e sociali, che in comunione con la Chiesa e con i suoi pastori, devono contribuire decisamente a dare una risposta cristiana ai più gravi interrogativi della vostra generazione. Da voi dipende una rinnovata vitalità del Popolo di Dio in queste terre, per il bene di tutta questa cara nazione e del mondo intero.
Invito ora ciascuno di voi personalmente a rivolgere una fiduciosa e sincera preghiera a Dio, come quel cieco di Gerico che disse a Gesù: “Signore che io riabbia la vista” (Lc 18, 41). Che io veda, Signore quale è la tua volontà per me in ogni momento, e soprattutto che veda in cosa consiste ildisegno di amore per tutta la mia vita, che è la mia vocazione. E donami la generosità per dirti di sì e per esserti fedele nel cammino che vorrai indicarmi: come sacerdote, come religioso o religiosa, o come laico affinché io sia sale e luce nel mio lavoro, nella mia famiglia e in tutto il mondo.
Ponete questa preghiera nelle mani di santa Maria, nostra Madre. Nei vostri pellegrinaggi al suo santuario di Luján e in tanti altri santuari dell’Argentina, avete testimoniato che è lei che vi guida e vi conforta in questa peregrinazione, mediante la fede, alla quale l’amore di Dio vi ha destinati.
2. “Alzati e cammina” (Mt 4, 16).
Grazie, carissimi giovani perché nella rappresentazione della realtà latinoamericana avete voluto farvi eco dell’invito alla speranza che ci viene da Cristo. Sì, anche io voglio ripetere con voi: “America Latina: sii te stessa! Nella tua fedeltà a Cristo, resisti a coloro che vogliono soffocare la tua vocazione di speranza” (Ioanis Puali PP. II, Discorso a Santo Domingo ai Vescovi della Conferenza Episcopale dell’America Latina, 12 ott. 1984: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VII/2 [1984] 894).
Con queste parole, ho voluto pregarvi anche perché l’America Latina è il “continente della speranza”: per la fedeltà a Cristo, che questo continente esprime nella maggioranza dei suoi abitanti, e per la fedeltà all’unica speranza, che è la croce di Cristo.
Salve, o croce, nostra unica speranza (Inno dei vespri della Settimana Santa).
Una speranza, che è unica ed universale. Dio Padre volle infatti in Cristo “fare abitare in lui ogni pienezza e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua croce” (Col 1, 19-20). L’America Latina è perciò un continente che vede nella croce del Signore la potenza redentrice capace di rinnovare tutto, purificando e ordinando al regno di Cristo tutto l’universo creato. Questa profonda convinzione mi condusse il 12 ottobre 1984, a donare a ciascuno dei Presidenti delle Conferenze Episcopali del continente, la riproduzione di quella prima croce elevata in terra americana. Volevo con quel gesto, risvegliare una nuova evangelizzazione, che dimostri la forza della croce nel rinnovamento di ogni uomo e tutte le realtà che fanno parte della sua esistenza.
Presiede oggi il nostro incontro la grande croce che ha iniziato tutte le cerimonie dell’Anno Santo della Redenzione, e che nella Domenica di Resurrezione ho donato ad un gruppo di giovani dicendogli: “Carissimi giovani, al termine dell’Anno Santo vi affido lo stesso segno di questo Anno Giubilare. La croce di Cristo! Portatela nel mondo come segno di amore di nostro Signore Gesù Cristo all’umanità, e annunciate a tutti che solo in Cristo morto e risorto è la salvezza e la redenzione”! Nel rivolgermi ora a voi giovani latinoamericani, voglio ricordarvi che siete - all’ombra della croce di Cristo - protagonisti di una duplice speranza: con la vostra gioventù, speranza della Chiesa; con la vostra appartenenza all’America Latina continente della speranza. Tutto ciò vi conferisce una particolare responsabilità, di fronte alla Chiesa e a tutta l’umanità. Mi aspetto molto da voi!
Mi aspetto soprattutto che rinnoviate la vostra fedeltà a Gesù Cristo ed alla sua croce redentrice. Pensate anzitutto che lo stesso sacrificio redentore di Cristo si rinnova sacramentalmente in ogni Messa che si celebra, forse vicino al vostro luogo di studio o di lavoro. No, Gesù non ha cessato di operare nella nostra storia! No! Egli vive! E continua a cercarci uno ad uno per unirci a lui ogni giorno nella Eucarestia, se ciò è possibile, accostandoci - con l’anima in grazia, purificata da tutti i peccati mortali - alla comunione.
Pensate inoltre a quelle parole così serie che il Signore rivolse ai suoi discepoli: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la croce ogni giorno e mi segua” (Lc 9, 23). Desidero farvi notare che la croce di ogni giorno è soprattutto la vostra lotta quotidiana per essere buoni cristiani, che vi rende collaboratori nell’opera redentrice di Cristo; in tal modo contribuite a realizzare la riconciliazione di tutti gli uomini e di tutta la creazione con Dio. È un programma di vita stupendo, che esige però generosità. Considerate quindi come deve essere la vostra vita, perché se Cristo ci ha redenti morendo sulla croce, non sarebbe coerente la vostra risposta di una vita mediocre. Tutto ciò richiede sforzo, sacrificio, tenacia; sentire il peso della croce che grava sulle nostre spalle quotidianamente.
Pensate che questa donazione di sé esige l’abnegazione, la negazione di noi stessi e l’affermazione del disegno salvifico del Padre. Esige il donare la propria vita, fino a perderla se fosse necessario, per Cristo. Sono questi infatti, i termini con i quali Cristo si rivolge a ciascuno di noi: “Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà” (Lc 9, 24). Colui che si dedica soltanto ai propri piaceri o alle proprie ambizioni, per quanto nobili a prima vista possano apparire, vorrebbe salvare la propria vita, e così allontanarsi da Cristo. Dovete agire allora come fece Gesù nella croce, con l’amore supremo di colui che dà “la vita per gli amici” (Gv15, 13). Allargate il vostro cuore! Sentite le necessità di tutti gli uomini, specialmente dei più indigenti; abbiate davanti ai vostri occhi tutte le forme di miseria - materiali e spirituali - di cui si soffre nei vostri paesi ed in tutta l’umanità, e dedicatevi poi, a cercare di mettere in atto soluzioni reali, solidali e radicali a tutti questi mali. Cercate però soprattutto di servire agli uomini, così come Dio vuole che siano serviti, senza cercare in ciò la ricompensa e senza lasciarvi condurre da egoistici interessi.
Vi chiedo quindi, nel nome del Signore, di rinnovare oggi la fedeltà a Cristo che fa della vostra terra il “continente della speranza”. Ho voluto indicarvi i punti centrali dell’impegno con Cristo: l’Eucarestia, il sacrificio del vostro comportamento quotidiano, l’abnegazione della propria persona.
Vi accompagni Maria, nostra speranza, la Vergine di Guadalupe, patrona dell’America Latina.
3. Cari giovani di tutto il mondo.
Al termine del nostro incontro, torno a ripetere ancora una volta, il tema di questa giornata: “Noi abbiamo riconosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi” (1 Gv 4, 16).
Vorrei che le vostre vite fossero sempre impregnate da questa grande verità: “Dio è amore” (1 Gv4, 16). Una verità ci è stata rivelata, più che con le parole, con i fatti. Un amore che rinnova l’uomo dall’interno e lo converte, da peccatore e ribelle, in servo buono e fedele (cf. Mt 25, 21). È questa una realtà di cui voi dovete dare costantemente testimonianza, poiché “chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui” (1 Gv 4, 16). Dimorate in Dio, proclamando il suo amore, con la fedeltà al suo piano di salvezza e la generosità del servizio, con serenità e forza, con la profondità della vostra preghiera e la capacità di rinuncia con rettitudine di vita e gioia di donare. Darete così testimonianza, con le opere più che con le parole, che Dio è amore.
Mi avete chiesto qual è il problema dell’umanità che maggiormente mi preoccupa. È proprio questo: pensare agli uomini che ancora non conoscono Cristo, che non hanno ancora scoperto la grande verità dell’amore di Dio. Vedere una umanità che si allontana sempre più dal Signore, che vuole crescere lasciando Dio al margine oppure negando la sua esistenza. Una umanità senza Padre, e di conseguenza, senza amore, orfana e disorientata, capace di continuare ad uccidere gli uomini che non considera propri fratelli, e preparare così la propria autodistruzione e l’annientamento. Per questo, miei cari giovani, voglio di nuovo impegnarvi oggi ad essere gli apostoli di una nuova evangelizzazione per costruire la civiltà dell’amore.
“Noi amiamo, perché egli ci ha amati per primo” (1 Gv 4, 19): la misura del nostro amore non potremo trovarla soltanto nella debole capacità del cuore umano; dobbiamo amare a misura del cuore di Cristo, altrimenti resteremo indietro rispetto a ciò che corrisponde al suo amore. Annunciate quindi, con rinnovato impegno, la fedeltà a Gesù Cristo, il “Redentore dell’uomo”. Tenete presente che colui che ama il Signore con tutte le sue forze e che dedica a Dio le sue migliori aspirazioni, non perde nulla, al contrario ottiene tutto, perché “l’amore di lui è perfetto in noi... e ci ha fatto dono del suo Spirito” (1 Gv 4, 12-13)! Tutto ciò richiede però di essere “uomini nuovi”.
Credere nell’amore di Dio non è un compito facile: richiede la donazione personale, non si limita a tranquillizzare egoisticamente la coscienza né lascia il cuore indifferente, ma lo rende più generoso, più libero e più fraterno. Libero da tante schiavitù come i disordini sessuali, la droga, la violenza, la sete di potere e di avere, che finiscono col lasciarvi vuoti e angosciati ed impediscono il vero amore e la felicità autentica.
Aprite generosamente il vostro cuore all’amore di Cristo, l’unico capace di dare un senso pieno a tutta la nostra vita. Vi raccomando, con san Paolo, “Che il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori e così, radicati e fondati nella carità, siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio” (Ef 3, 17-19).
E con l’amore di Cristo, riempitevi di amore per tutti gli uomini, poiché “se uno dicesse: “io amo Dio” e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede” (1 Gv 4, 20). Carissimi giovani: accogliete con gratitudine l’amore di Dio ed esprimetelo in una autentica comunità fraterna; siate disposti a donare quotidianamente la vita per trasformare la storia. Il mondo, oggi più che mai, ha bisogno della vostra gioia e del vostro servizio, della vostra vita limpida e del vostro lavoro, della vostra forza e della vostra donazione, per costruire una società nuova, più giusta, più fraterna, più umana e più cristiana: la nuova civiltà dell’amore che si manifesta nel servizio a tutti gli uomini. Costruirete così la civiltà della vita e della verità, della libertà e della giustizia, dell’amore, della riconciliazione e della pace.
Voi sapete quanto mi preoccupa la pace nel mondo e che ho percorso con voi, in diverse occasioni, un itinerario evangelico della pace. Sapete bene che la pace è un dono di Dio - Gesù Cristo è la “nostra pace”! (cf. Ef 2, 14) - che dobbiamo chiedere con insistenza. Inoltre dobbiamo anche costruirla fra tutti, e ciò richiede anche, da ciascuno di noi, una profonda conversione interiore.
Pertanto, cari giovani, desidero oggi che vi impegniate nuovamente ad essere “operatori di pace”, sui cammini della giustizia, della libertà e dell’amore. Ci avviciniamo al terzo millennio: voi sarete i principali artefici della società, ed i primi ed immediati responsabili della pace. Ma la concordia sociale non si improvvisa né si può imporre dall’esterno: essa nasce dal cuore giusto, libero, fraterno, pacificato dall’amore. Siate quindi, fin da ora, insieme a tutti gli uomini, artefici della pace; unite i vostri cuori ed i vostri sforzi per edificare la pace. Soltanto così, vivendo l’esperienza dell’amore a Dio e sforzandovi di realizzare la fraternità evangelica, potrete essere i veri e felici costruttori della civiltà dell’amore.
La vostra madre Maria santissima, vi accompagni sempre; lei credette nell’amore di Dio e si donò con fedeltà gioiosa alla sua parola; giovane e semplice, lei si aprì generosamente all’amore del Padre, ricevette nella pienezza lo Spirito e ci diede Gesù, il Salvatore del mondo.
Cari giovani, amici, di nuovo vi ripeto: per intercessione di Nostra Signora di Luján, tanto amata dagli Argentini, siate - in tutti i momenti e le circostanze della vostra vita - testimoni dell’amore di Dio, seminatori di speranza e costruttori di pace.
Al termine del discorso il santo Padre ha rivolto alcune parole di saluto a tutti i presenti “Desidero ringraziare per la presenza di tutti voi - ha detto - che avete voluto partecipare a questo incontro fra amici di tutti i continenti, di tutti i paesi dell’America Latina”. “Desidero esprimere un particolare saluto e ringraziamento al signor Presidente della Repubblica Argentina che ci ha voluto onorare della sua presenza. Molte grazie”. Ancora una volta ha espresso la sua riconoscenza a tutti “Grazie per questa celebrazione della Parola, della luce, della verità e dei desideri dei paesi, delle culture, della storia, del futuro, di Cristo, di sua Madre, della Santissima Trinità, del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Molte grazie a voi giovani”.

VIAGGIO APOSTOLICO IN URUGUAY, CILE E ARGENTINA
CELEBRAZIONE DELLA SANTA MESSA DELLA DOMENICA DELLE PALME
E DELLA SECONDA GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÚ
OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II
«Avenida 9 de Julio» - Domenica, 12 aprile 1987

Noi abbiamo riconosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi” (1 Gv 4,16).
1. “Osanna al figlio di Davide!” (Mt 21, 9).
La Chiesa ripete oggi in tutta la terra queste parole con le quali la moltitudine - riunita a Gerusalemme per le feste pasquali - acclamò Gesù di Nazaret.
“Osanna al figlio di Davide! / Benedetto colui che viene nel nome del Signore! / Osanna nel più alto dei cieli!” (Mt 21, 9).
Gesù, circondato dai suoi discepoli, entra nella città santa su un asino. Anche in quest’occasione, come sottolinea l’evangelista, si compie in Gesù quanto annunciato dal profeta:
“Dite alla figlia di Sion: / Ecco, il tuo re viene, a te, / mite seduto su un’asina / con un puledro figlio di bestia da soma” (Mt 21, 5).
La Chiesa chiama questo giorno Domenica delle Palme, in ricordo delle palme che gettarono gli abitanti di Gerusalemme e i pellegrini, al passaggio di Gesù, salutato con grande entusiasmo dalla folla.
I canti liturgici in questa domenica ci ricordano che la gioventù partecipò, in modo particolare, a quell’entusiasmo: sono i “pueri Hebreorum” - i giovani ebrei -, che compaiono in questi canti come protagonisti dell’acclamazione popolare al Figlio di Davide.
Sembra come se i giovani, presenti in quella prima entrata esultante di Cristo a Gerusalemme, volessero accompagnarlo per sempre in maniera speciale, ogni volta che la Chiesa celebra questa festa, singolarmente vostra.
2. Nell’Anno Santo della Redenzione 1983-1984, folle di giovani di diversi paesi e continente raggiunsero in pellegrinaggio Roma, la Domenica delle Palme, per celebrare con me il Giubileo. Fu una giornata meravigliosa e indimenticabile che vivemmo l’anno successivo in occasione dell’Anno Internazionale della Gioventù. Da allora la Domenica delle Palme è stata proclamata Giornata della Gioventù per la Chiesa, in tutto il mondo. Quest’anno lo viviamo insieme qui, a Buenos Aires. Con voi, giovani di tutta l’Argentina, ci sono coloro che sono giunti dai diversi paesi d’America e da altre parti del mondo, tra i quali si contano delegazioni di giovani di Roma, che è la diocesi del Papa, e di diverse associazioni e movimenti internazionali.
Saluto affettuosamente tutti voi che formate la grande comunità giovanile di tutto il mondo. Allo stesso tempo, il mio saluto è rivolto ai pastori della Chiesa qui presenti: il Cardinale Juan Carlos Aramburu, Arcivescovo di Buenos Aires; al Cardinale Raul Francisco Primatesta, Arcivescovo di Córdoba e presidente della Conferenza Episcopale Argentina; al Cardinale Eduardo Francisco Pironio, Presidente del Consiglio Pontificio per i Laici, organismo che prepara queste giornate mondiali. Saluto specialmente i Vescovi, venuti da paesi vicini e lontani per accompagnare i giovani delle loro diocesi e celebrare con il Papa questa giornata di particolare significato ecclesiale. Saluto anche i sacerdoti, i religiosi e le religiose, e tutti coloro che hanno accompagnato i giovani in questo pellegrinaggio. Grazie per la vostra presenza.
Dalla capitale della Repubblica Argentina, ci uniamo nello spirito con la Basilica di San Pietro e con Roma, centro della Chiesa universale dove il Signore ha voluto che nascesse questa festa della gioventù; e ci sentiamo anche molto uniti ai giovani di tutti i luoghi della terra che celebrano, con i loro pastori questa festa annuale, sia la Domenica delle Palme, sia qualunque altro giorno dell’anno, a seconda delle situazioni e delle circostanze locali.
3. Nell’unire la Giornata della Gioventù alla Domenica delle Palme, ricordando la presenza dei giovani al momento del gioioso Osanna con cui fu salutato Cristo quando entrò nella Città Santa, la Chiesa non si sofferma solamente sull’entusiasmo della gioventù di ogni epoca; ma si fissa, soprattutto, sul significato che quell’entrata in Gerusalemme ebbe nella vita di Cristo e, attraverso lui, nella vita di ogni uomo, di ogni giovane.
Sì. La liturgia di oggi ci ricorda che il solenne ingresso di Gesù Cristo in Gerusalemme fu il preludio o l’inizio degli avvenimenti della Settimana Santa. Coloro che nel vedere Gesù chiedevano: “chi è costui?” troveranno una risposta completa solamente se seguiranno i suoi passi durante i giorni decisivi della sua morte e resurrezione. Anche voi, giovani, raggiungerete la comprensione piena del significato della sua vita, della vostra vocazione, guardando Cristo morto e resuscitato. Aggiungete, poi, alla naturale attrattiva che Cristo esercita nei vostri cuori - e che quei giovani di Gerusalemme manifestarono con l’entusiasmo del loro Osanna - la considerazione attenta e meditata degliavvenimenti della Settimana Santa.
Oggi abbiamo ascoltato il racconto che di questi avvenimenti san Matteo fa nel suo Vangelo. E, sebbene le sue parole non siano nuove, ancora una volta hanno suscitato un profondo sentimento in noi. Quando dal testo emerge la figura del Figlio dell’Uomo sottoposto a interrogatori e torture, le parole del profeta proposte dalla liturgia di oggi, e che risalgono a molti secoli prima che quegli avvenimenti si compissero, acquistano piena realtà ed evidenza.
Isaia scriveva del futuro Messia: “Ho presentato il dorso ai flagellatori, la guancia a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi” (Is 50, 6).
Paragonando le sue parole ai tragici avvenimenti tra la notte del giovedì e la mattina del venerdì, la somiglianza è sorprendente; il profeta scrive come se fosse testimone di quelle scene.
Con eguale precisione, il salmo della liturgia di oggi preannuncia le sofferenze di Cristo:
“Mi scherniscono quelli che mi vedono, / storcono le labbra, scuotono il capo: / Si è affidato al Signore, lui lo scampi; / Lo liberi, se è suo amico” (Sal 22, 8-9).
Sono parole che il testo evangelico confermerà, fin quasi nei minimi dettagli, nel narrare la crocifissione di Gesù sul Golgota. Allora si compiranno anche le parole del salmista che descrivono le piaghe di Cristo: “Hanno forato le mie mani e i miei piedi, posso contare tutte le mie ossa” (Sal 22, 17-18), e la divisione dei suoi abiti: “Si dividono le mie vesti, sul mio vestito gettano la sorte” (Sal 22, 19).
4. Il racconto della passione del Signore ci accompagna oggi fino al momento in cui il corpo di Gesù, morto sulla croce, resta in un sepolcro di pietra. E, tuttavia, la liturgia odierna vuoleintrodurci più profondamente nel mistero pasquale di Gesù Cristo.
Per questo, il testo conciso della seconda lettura, preso dalla Lettera di san Paolo ai Filippesi, è la chiave per scoprire, nel complesso degli avvenimenti della Settimana Santa, la piena dimensionedel mistero divino.
Chi è Gesù Cristo?, potremmo chiederci di nuovo, come coloro che lo videro entrare in Gerusalemme.
Gesù Cristo “pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini” (Fil 2, 6-7).
Gesù Cristo è per tanto, Dio vero, figlio di Dio, il quale avendo assunto la natura umana si è fatto uomo. Visse su questa terra come figlio dell’uomo. In lui, precisamente in quanto figlio dell’uomo, si compì la figura del servo di Jahvé, annunciato da Isaia.
5. Mentre Gesù fa il suo ingresso a Gerusalemme su un asinello, noi continuiamo a chiederci, come quella folla che lo circondava: che ha fatto Gesù Cristo nella sua vita?
Ci tornano in mente allora quelle sintesi della sua attività missionaria, dense nella sua brevità, che ci offrono i testi ispirati: “Faceva e insegnava” (cf. At 1, 1); “passavo facendo del bene ( . . .) a tutti . . .” (cf. At 10, 38); “mai un uomo ha parlato come parla quest’uomo” (Gv 7, 46). E nonostante ciò, tutte le nostre risposte su Gesù sarebbero incomplete, se non parlassimo della sua morte sulla croce. Sulla croce la vita di Cristo acquista tutto il suo senso; la morte è l’atto fondamentale della vita di Cristo. Per questo, il testo di san Paolo risponde bene alla domanda formulata prima:
“Apparso in forma umana, / umiliò se stesso, / facendosi obbediente fino alla morte / e alla morte di croce” (Fil 2, 7-8).
Il centro di tutta la vita di Cristo è la sua morte sulla croce; quello è l’atto fondamentale e definitivo della sua missione messianica. In quella morte di compie “la sua ora” (cf. Gv 18, 37). Cristo prende la nostra carne, nasce e vive tra gli uomini, per morire per noi.
È importante sottolineare l’affermazione paolina: Cristo “si è umiliato facendosi obbediente fino alla morte”. Non è lecito misurare la morte di Gesù con il comune metro della debolezza e limitazione umana. La si deve guardare con la vera misura dell’obbedienza salvifica. La sua morte non è solo il termine della vita. Cristo si fa spontaneamente obbediente fino alla morte sulla croce, per dare con la sua morte, un nuovo inizio alla vita: “Poiché se a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti; e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo” (1 Cor 15, 21-22).
6. Con l’infinita abnegazione di Cristo, Figlio consustanziale del Padre - come uomo, come servo di Jahvè, come uomo di dolori - l’Apostolo proclama allo stesso tempo la sua esaltazione. Al mistero pasquale appartengono sia la morte sia la resurrezione gloriosa di Cristo, la sua esaltazione. E la sua esaltazione inizia sulla croce, che è, non solo il patibolo, ma anche il trono glorioso di Dio fatto uomo; sulla croce, Cristo morto ottiene la vera vita; sulla croce, Cristo vince il peccato e la morte.
Per questo Dio esalta Cristo, che è morto per noi sulla croce. Lo esalta nell’orizzonte di tutta la storia dell’uomo assoggettato alla morte, e questa esaltazione è di dimensione cosmica.
San Paolo scrive:
“Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome / che è al di sopra di ogni altro nome, / perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi / nei cieli, sulla terra e sotto terra; / e ogni lingua proclami / che Gesù Cristo è il Signore / a gloria di Dio Padre” (Fil 2, 9-11).
Sì, Gesù Cristo è il Signore,
crediamo in Gesù Cristo nostro Signore.
7. Cari giovani amici, perché questo giorno, la Domenica delle Palme, è diventato il vostro giorno?
Questo è accaduto a poco a poco: già da tempo, questo giorno richiamava e riuniva soprattutto a Roma, molti giovani pellegrini.
Forse in questo modo avete voluto unirvi ai giovani e alle giovani di Gerusalemme, “pueri Hebreorum”, che assistettero all’arrivo di Gesù per la festa. Avete voluto far vostro il loro entusiasmo, che si esprimeva nelle parole: Osanna! Benedetto colui che viene in nome del Signore!
Tuttavia l’entusiasmo dura poco. Può finire in un solo giorno. Al contrario, la Domenica delle Palme ci introduce in tutti gli avvenimenti della Settimana Santa, nel mistero totale di Gesù Cristo, nella sua consegna fino alla morte sulla croce per obbedienza al Padre, nell’annientamento del Figlio, che essendo uguale al Padre, ha assunto la condizione di servo fino alle estreme conseguenze.
Si potrebbe dire che i giovani sono stati attratti dalla croce di Cristo, che il vostro entusiasmo, preceduto dai “pueri Hebreorum” ed espresso anche con il “Osanna . . . Benedetto colui che viene nel nome del Signore!”, acquista dinanzi al mistero pasquale tutto il suo significato. Lodando il profeta di Galilea, Gesù di Nazaret, proclamate al contempo la vostra fede in Gesù Cristo Dio e uomo, redentore dell’uomo e del mondo.
8. Sì. La Domenica delle Palme ci introduce nel mistero totale di Gesù Cristo, cioè, nel mistero pasquale, nel quale tutte le cose raggiungono il loro culmine, e nel quale si riconferma pienamente la verità delle parole e delle opere di Gesù di Nazaret. In questo mistero si rivela anche fino a che punto “Dio è amore” (cf. 1 Gv 4, 8); e al contempo acquistiamo coscienza della vera dignità dell’uomo, riscattando col prezzo del sangue del Figlio di Dio, e destinato a vivere eternamente con lui nel suo amore.
Noi abbiamo riconosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi” (1 Gv 4, 16). Così si esprime san Giovanni nel testo su cui mediteremo come motto di questa Giornata Mondiale della Gioventù.
Cari giovani, celebrate sempre nella vostra vita il mistero pasquale di Gesù, accogliendo nei vostri cuori il dono dell’amore di Dio: “Mi ha amato e ha dato se stesso per me” (Gal 2, 20). Impregnati dalla forza divina dell’amore, impegnate le vostre energie giovanili nella costruzione della civiltà dell’amore.
Guidati dal “senso della fede” seguite, al contempo, la voce di ciò che nel cuore umano e nella coscienza è la cosa più profonda e più nobile, di ciò che corrisponde alla verità interiore dell’uomo e della sua dignità. Così sarete capaci di capire la logica divina, capaci di superare le povere ragioni umane, e penetrerete nella dimensione nuova dell’amore che Cristo ci ha manifestato.
Questa è la vera ragione per la quale venite a celebrare questa giornata.
Venite, giovani! Avvicinatevi a Cristo, redentore dell’uomo!
Questo è il senso che ha avuto la vostra presenza in piazza san Pietro a Roma e oggi in questo grande viale della capitale argentina. È Cristo colui che ci attrae, è lui colui che ci chiama. E con Gesù Cristo, la nostra madre Maria santissima, che è venuta dal suo Santuario di Luján per stare con noi. A lei vi affido a conclusione di questa celebrazione. So molto bene quel che NostraSignora di Lujàn significa per voi, giovani argentini, come meta dei vostri pellegrinaggi annuali, ai quali accorrete in gran numero, pieni di devozione alla Madre di Dio, con manifesta generosità e speranza.
Vedo in voi tutti i vostri coetanei: i giovani e le giovani con le quali ho avuto la fortuna di riunirmi in tante parti del mondo, e anche tutti coloro che non ho mai potuto incontrare. Ci uniamo nello spirito con tutti loro, per invitarli ad avvicinarsi a Cristo in questo santo giorno.
9. Mi rivolgo a tutti e vi dico: lasciatevi abbracciare dal mistero del Figlio dell’uomo, dal mistero di Cristo morto e resuscitato. Lasciatevi abbracciare dal mistero pasquale!
Lasciate che questo mistero penetri, fino in fondo, nelle vostre vite, nella vostra coscienza, nella vostra sensibilità, nei vostri cuori in modo da dare il vero senso a tutto il vostro comportamento.
Il mistero pasquale è mistero di salvezza, creatore. Soltanto mediante il mistero di Cristo si può comprendere pienamente l’uomo; solo dal Cristo morto e resuscitato può l’uomo comprendere la sua vocazione divina, e raggiungere il suo destino ultimo e definitivo.
Lasciate, dunque, che il mistero pasquale agisca in voi. Per l’uomo, e specialmente per il giovane, è essenziale conoscere se stesso, sapere qual è il suo valore, il suo autentico valore, qual è il significato della propria esistenza, della sua vita, sapere qual è la sua vocazione. Solo così puòdefinire il senso della sua vita.
10. Solo accogliendo il mistero pasquale nelle vostre vite potrete “rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi” (1 Pt 3, 15). Solo accogliendo Cristo morto e resuscitato, potrete rispondere alle grandi e nobili aspirazioni del vostro cuore.
Giovani: Cristo, la Chiesa, il mondo aspettano la testimonianza delle vostre vite, fondate sulla verità che Cristo ci ha rivelato!
Giovani: il Papa vi ringrazia per la vostra testimonianza, e vi incoraggia perché siate sempre testimoni dell’amore di Dio, seminatori di speranza e costruttori di pace!
“Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna” (Gv 6, 68).
Colui che si è arreso, facendosi obbediente fino alla morte sulla croce, egli solo, ha parole di vita eterna.
Accogliete le sue parole. Imparatele. Edificate le vostre vite tenendo sempre presenti le parole e la vita di Cristo. Ancora di più: imparate a essere Cristo stesso, identificandovi con lui in tutto.
In lui sta la vittoria che trionfa nel mondo. La vittoria definitiva dell’uomo. “Questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede” (1 Gv 5, 4). La fede in colui che “ha tanto amato il mondo, da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui, non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3, 16).
Questa fede si manifesterà in fiducia, in fedeltà, in impegno valoroso e generoso. E potremo dire, con gioia e gratitudine a nostro Signore: “noi abbiamo riconosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi” (1 Gv 4, 16). “

VIAGGIO APOSTOLICO IN URUGUAY, CILE E ARGENTINA
GIOVANNI PAOLO II
ANGELUS
«Avenida 9 de Julio» - Buenos Aires
Giornata Mondiale della Gioventù
 Domenica delle Palme, 12 aprile 1987

1. “Noi abbiamo riconosciuto e creduto all’amore” (1 Gv 4, 16).
Il mistero della redenzione che la Chiesa celebra nella Settimana Santa che iniziamo oggi, è un mistero di amore e di fede.
Un mistero diventato realtà nel nostro mondo grazie ad una giovane donna, Maria, la Vergine di Nazaret, che conobbe l’amore di Dio e credette in lui. Per mezzo di lei ci è giunta la salvezza e la speranza di un mondo nuovo.
Conobbe l’amore di Dio quando l’angelo la chiamò: “piena di grazia” e le annunciò che sarebbe stata la Madre del Salvatore. Credette nell’amore di Dio quando si abbandonò con tutto il suo essere al disegno amoroso del Padre e si lasciò riempire dallo Spirito Santo, Spirito dell’amore dicendo: “Avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1, 3).
2. La storia della salvezza continua ad essere nella Chiesa una storia dell’amore di Dio che ci precede e ci accompagna corrisposto da una fede libera e generosa dell’uomo che si abbandona al progetto di Dio sulla stessa umanità. La Chiesa contempla in Maria il modello e l’esempio più sublime di questa collaborazione, affinché la salvezza penetri all’interno del mondo e della società.
Maria è testimonianza del mistero dell’amore di Dio, che culmina nella passione e resurrezione di Cristo. Essa è anche il modello di fedeltà e della cooperazione materna nel suo abbandono amoroso alla fede, alla speranza e all’amore. Lei è la Vergine del Calvario nella notte del dolore, la Vergine della Pasqua nell’aurora del giorno senza tramonto della resurrezione di Cristo. Per questo è la Vergine della speranza nella Parola e nelle promesse del suo Figlio.
3. Giovani dell’Argentina, dell’America Latina e del mondo intero. Guardate Maria. Invocatela e imitatela perché lei è il vostro modello. È la Madre di Gesù e dei discepoli di Gesù.
Con lei camminiamo verso un mondo nuovo, verso la civiltà dell’amore: come popolo della Pasqua, presente nella storia, pellegrino verso la patria, conosciamo l’amore di Dio, come Maria, e crediamo in lui, per poter essere seminatori di speranza e costruttori di pace.

© Copyright 1987 - Libreria Editrice Vaticana 


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