lunedì 24 dicembre 2012

Maria, donna obbediente

Siamo quasi al termine dei nostri racconti, che ci hanno accompagnato per tutto dicembre. Anche oggi però ve ne doniamo uno, scritto da Don Tonino Bello, intitolato "Maria, donna obbediente":

"Si sente spesso parlare di obbedienza cieca. Mai di obbedienza sorda. Sapete perché? 
Per spiegarvelo devo ricorrere all'etimologia, che, qualche volta, può dare una mano d'aiuto anche all'ascetica. 
Obbedire deriva dal latino "ob-audire". Che significa: ascoltare stando di fronte. 
Quando ho scoperto questa origine del vocabolo, anch'io mi sono progressivamente liberato dal falso concetto di obbedienza intesa come passivo azzeramento della mia volontà, e ho capito che essa non ha alcuna rassomiglianza, neppure alla lontana, col supino atteggiamento dei rinunciatari. 
Chi ubbidisce non annulla la sua libertà, ma la esalta. 
Non mortifica i suoi talenti, ma li traffica nella logica della domanda e dell'offerta. 
Non si avvilisce all'umiliante ruolo dell'automa, ma mette in moto i meccanismi più profondi dell'ascolto e del dialogo. 
C'è una splendida frase che fino a qualche tempo fa si pensava fosse un ritrovato degli anni della contestazione: "obbedire in piedi". Sembra una frase sospetta, da prendere, comunque, con le molle. Invece è la scoperta dell'autentica natura dell'obbedienza, la cui dinamica suppone uno che parli e l'altro che risponda. Uno che faccia la proposta con rispetto, e l'altro che vi aderisca con amore. Uno che additi un progetto senza ombra di violenza, e l'altro che con gioia ne interiorizzi l'indicazione. 
In effetti, si può obbedire solo stando in piedi. In ginocchio si soggiace, non si obbedisce. Si soccombe, non si ama. Ci si rassegna, non si collabora. 
Teresa, per esempio, che è costretta a dire sì a tutte le voglie del marito e non può uscire mai di casa perché lui è geloso, e la sera, quando torna ubriaco e i figli piangono, lei si prende un sacco di botte senza reagire, è una donna repressa, non è una donna obbediente. Il Signore un giorno certamente la compenserà: ma non per la sua virtù, bensì per i patimenti sofferti. 
L'obbedienza, insomma, non è inghiottire un sopruso, ma è fare un'esperienza di libertà. 
Non è silenzio di fronte alle vessazioni, ma è accoglimento gaudioso di un piano superiore. 
Non è il gesto dimissionario di chi rimane solo con i suoi rimpianti, ma una risposta d'amore che richiede per altro, in chi fa la domanda, signorilità più che signoria. 
Chi obbedisce non smette di volere, ma si identifica a tal punto con la persona a cui vuol bene, che fa combaciare, con la sua, la propria volontà. 
Ecco l'analisi logica e grammaticale dell'obbedienza di Maria. 
Questa splendida creatura non si è lasciata espropriare della sua libertà neppure dal Creatore. Ma dicendo "Sì", si è abbandonata a lui liberamente ed è entrata nell'orbita della storia della salvezza con tale coscienza responsabile che l'angelo Gabriele ha fatto ritorno in cielo, recando al Signore un annuncio non meno gioioso di quello che aveva portato sulla terra nel viaggio di andata. 
Forse non sarebbe sbagliato intitolare il primo capitolo di Luca come l'annuncio dell'angelo al Signore, più che l'annuncio dell'angelo a Maria"

Nessun commento:

Posta un commento