domenica 10 febbraio 2013

Peppone marca visita

Questo mese vorrei donarvi un racconto di Guareschi, intitolato "Peppone marca visita", tratto da "L'annodi Don Camillo" all'interno del quale si possono trovare delle riflessioni interessanti quanto attuali...
Buona lettura:


«Questa non è un'ora da cristiani» disse don Camillo quando si trovò davanti la moglie di Peppone.
«Credevo che i preti e i medici non avessero orario d'ufficio» replicò la donna.
«Parla, ma senza sederti» borbottò don Camillo. «Così fai più presto ad andartene. Cosa vuoi?»
«È per la casa nuova. Dovreste benedirla.»
Don Camillo strinse i pugni.
«Hai sbagliato sportello» esclamò con voce dura. «Buona notte.»
La donna si strinse nelle spalle:
«Reverendo, acqua passata. Era pieno di guai».
Don Camillo scosse il capo. La cosa era stata troppo grossa per poterla dimenticare anche se erano trascorsi già sei mesi.
Peppone aveva fatto il colpo di testa: aveva chiuso la vecchia officina scalcagnata e, impegnandosi fino agli occhi,aveva tirato su una casa nuova al margine del paese, a lato della strada maestra. Un bel fabbricato con officina attrezzata come quelle di città e, al primo piano, l'abitazione.
Era riuscito a procurarsi la concessione di un distributore di benzina e questo doveva facilitargli il lavoro col traffico della strada grande, quella che passava sull'argine e tagliava fuori completamente il paese.
Don Camillo, si capisce, non aveva potuto resistere alla tentazione e, una bella mattina, aveva messo il naso dentro la nuova officina. Peppone stava cercando di capire qualcosa in un maledetto motore d'automobile e non aveva una gran voglia di chiacchierare.
«Bello» disse don Camillo guardandosi attorno.
«Lo so» rispose Peppone.
«L'abitazione al primo piano, il cortile, il distributore:c'è proprio tutto» continuò don Camillo. «Manca solo una cosa.»
«E cos'è che mancherebbe?»
Don Camillo allargò le braccia:
«Un tempo, quando si inaugurava una nuova casa, c'era l'usanza di chiamare il prete per benedirla…».
Peppone si drizzò e, con la mano, si tirò via il sudore della fronte:
«L'acqua santa dei giorni nostri è questa!» affermò aggressivo. «Benedetta dal lavoro e non dal prete.»
Don Camillo se ne era andato senza fiatare e la cosa gli aveva fatto un'impressione enorme perché aveva sentito nelle parole di Peppone qualcosa che non aveva sentito mai. E,adesso, la moglie di Peppone, venendo a parlargli di benedirle la casa, gli aveva fatto riprovare il disgusto di quel giorno lontano.
«No» rispose don Camillo alla donna.
Ma la moglie di Peppone non si scoraggiò: 
«Dovete venire; nella casa non abita soltanto mio marito: ci abito io, ci abitano i miei figli. Che colpa ne abbiamo noi se Peppone vi ha trattato male? Se Cristo avesse…».
«Cristo non c'entra!» la interruppe don Camillo.
«Invece mi pare di sì» replicò convinta la donna.
E così don Camillo, dopo aver girato un bel pezzo in sue in giù per la stanza, rispose:
«Va bene. Verrò domani».
La donna scosse il capo:
«Non domani. Dovete venire subito, intanto che mio marito è fuori: non voglio che lo sappia lui e che la gente veda».
Allora don Camillo scoppiò.
«Ecco, io mi metto a fare il prete clandestino: magari mi travesto da guardiacaccia per andare a benedire una casa. Come se si trattasse di un atto disonesto, di una porcheria da nascondere. Tu bestemmi peggio di quel disgraziato di tuo marito.»
«Don Camillo, cercate di capirmi: se la gente vi vedesse malignerebbe che noi, adesso, ci facciamo benedire la casa perché siamo nei guai.»
«Già, la gente malignerebbe che siete nei guai… Mentre se tu vuoi farmi benedire la casa nuova la ragione è completamente diversa… E quale?»
«Che siamo nei guai» spiegò la donna. «Da quando ci troviamo nell'officina nuova non ce ne va più nessuna per il diritto.»
«Capisco: e allora, non sapendo più dove sbattere la testa, tu pensi a Dio.»
«Certo, mica posso pensare al farmacista.»
«Se, invece, tutto avesse funzionato bene non ti saresti mai sognata di venirmi a chiedere la benedizione della casa.»
«Certo: quando le cose vanno bene ci si arrangia da soli e il Padreterno non serve.»
Don Camillo cavò un grosso bastone dalla fascina che stava appoggiata al muro, a fianco del caminetto:
«Se fra due secondi non sei, almeno almeno, in piazza,te lo rompo sulla testa».
La donna uscì senza parlare. Però rimise dentro la testa.
«Me ne vado non perché mi faccia paura il vostro bastone, ma perché mi fa paura la vostra cattiveria.»
Don Camillo buttò il bastone sul fuoco e lo guardò incendiarsi e ardere. Poi, a un tratto, si buttò il tabarro sulle spalle e uscì.
Camminò nel buio della notte e, arrivato alla porta della casa nuova di Peppone, bussò.
Gli aprirono la porta subito:
«Sapevo che sareste venuto» disse la moglie di Peppone. «Vi aspettavo.»
Don Camillo trasse di tasca il Breviario ma non fece a tempo ad aprirlo: Peppone entrò infatti come un turbine nell'andito.
«Reverendo, cosa fate qui a quest'ora?»Don Camillo non seppe cosa rispondere e, allora, intervenne la donna:
«Sono andata a chiamarlo io perché benedica la casa».
Peppone si volse cupo alla moglie:
«Con te faremo i conti dopo. In quanto a voi, reverendo, potete andarvene: non ho bisogno né di voi né del vostro Dio!».
A don Camillo parve di udire stavolta una voce addirittura completamente sconosciuta. E in verità Peppone non era più quello di prima.
Peppone aveva fatto il passo più lungo della gamba: si era buttato a capofitto nella sua avventura impegnando tutto quello che possedeva e anche quello che non possedeva.Adesso non ce la faceva più: aveva l'acqua alla gola e non trovava più la forza di rimettersi a galla. E quella sera si era arreso e, per la prima volta in vita sua, aveva marcato visita.

*

Quando don Camillo fu uscito Peppone riversò la sua ira sulla moglie:
«Anche tu mi tradisci!».
«Non ti tradisco: questa è una casa maledetta e ho cercato di rompere il cerchio della maledizione. Non ho fattoniente di male.»
Peppone entrò nella grande cucina e si sedette alla tavola.
«Benedire!» gridò. «Non capisci che egli non viene qui per benedire ma per spiare? Per vedere come vanno le cose.Per poter trovare qualche prova della situazione schifosa nella quale ci troviamo. Se fosse riuscito a entrare in officina si sarebbe accorto che il tornio nuovo non c'è più…»
La moglie gli si appressò:
«Com'è andata?».
«Tutto bene: adesso il tornio è già sistemato. Non se ne è accorto nessuno che l'ho portato via.»
La donna sospirò.
«Se ne accorgeranno domani. Il primo che entrerà in officina scoprirà che il tornio non c'è più.»
«Non scopriranno niente» spiegò Peppone. «Coi soldi che ho ricavato dal tornio ho tacitato i due creditori più pericolosi, e domani non aprirò bottega. Mi sono messo a posto anche di lì.»
La donna lo guardò sbalordita.
«Ho fatto adunare d'urgenza il Consiglio comunale e ho spiegato che sono malato e mi occorre un lungo periodo di riposo. Rimarrò chiuso in casa e non mi farò più vedere.»
«Questo non servirà a niente» replicò la donna. «Le cambiali scadono lo stesso anche se tu stai chiuso in casa.»
«Le cambiali vanno in scadenza fra un mese, il tornio se ne è andato oggi e bisogna tamponare subito il buco del tornio. Non devono sapere niente in paese. C'è un sacco di maledetti che sarebbero troppo contenti di sapermi nei guai.»
Peppone si fece portare un largo foglio di carta e col pennellino scrisse a stampatello: «Chiuso per malattia del  proprietario».
«Vallo a incollare subito sulla saracinesca dell'officina» disse alla moglie porgendole il foglio.
La donna trovò il boccette della colla e si avviò, ma Peppone la richiamò subito.
«Così non può andare» si rammaricò «"Proprietario' è un'espressione troppo borghése.»
Cercò affannosamente qualcosa di meno reazionario poi dovette accontentarsi di un quanto mai generico: «Chiuso per malattia».
E, in verità, era malata tutta l'azienda, non soltanto Peppone.

*

Peppone non mise più il naso fuori di casa e la moglie continuava a spiegare a tutti che Peppone aveva l'esaurimento e bisognava lasciarlo tranquillo fin che non si fosse rimesso. E così passarono dieci giorni, ma l'undecimo portò una brutta novità; sul giornale degli agrari, nella pagina della provincia, c'era un trafiletto che riguardava il paese:
«Concittadini che si fanno onore. Siamo lieti di comunicare che la popolarità del nostro sindaco Giuseppe Bottazzi diventa sempre più grande: l'odierno bollettino dei protesti cambiari reca infatti per ben tre volle il nome del compagno Giuseppe Bottazzi. Molte felicitazioni per la meritata affermazione».
A Peppone venne la febbre sul serio e si buttò a letto dicendo alla moglie che, qualsiasi cosa accadesse, non gli parlasse di niente:
«Non voglio vedere lettere, non voglio leggere giornali. Lasciami dormire».
Ma, tre giorni dopo, la moglie entrò singhiozzando nella stanza e lo svegliò:
«Bisogna che te lo dica» gemette. «Sono venuti a pignorare tutte le macchine nuove dell'officina.»
Peppone buttò la testa sotto il cuscino, ma oramai le sue orecchie avevano udito.
Sudò tutto quello che era umanamente possibile sudare. Poi ebbe una improvvisa decisione e balzò giù dal letto.
«Non c'è che un rimedio» esclamò. «Me ne vado.»
La moglie cercò di ricondurlo alla ragione:
«Lascia perdere ogni cosa. Sequestrino, vendano tutto.Roba maledetta. Ci restano sempre la vecchia casa e la vecchia officina. Ricominciamo da capo.»
«No!» urlò sgomento Peppone. «Non posso ritornare alla vecchia officina e alla vecchia casa. Non posso. È una umiliazione spaventosa. Bisogna che me ne vada. Dirai che ho dovuto andarmi a curare in montagna: intanto io cercherò di rimediare le cose. Qui non posso pensare. Non ho nessuno col quale consigliarmi. Non tronco niente qui: lascio tutto in sospeso… Se le cose vanno male diranno che è a causa della mia malattia… Non è possibile ritornare indietro, dare una soddisfazione così grossa a tutti i maledetti che ce l'hanno con me.»
La donna non insistette:
«Fai tu».
«Mi resta il mio camion» spiegò Peppone. «Mi servirà. Non so dove finirò ma avrai mie notizie. Non dire niente a nessuno, neppure se ti scannano.»
Alle due di notte Peppone mise in moto il camion e par-tì; nessuno lo vide, ma, a quell'ora, in paese c'era ancora gente che continuava a parlare di lui: 
«Gli sono saltati addosso come maledetti approfittando che è malato» dicevano gli uni.
«La malattia è una scusa per coprire le magagne» dicevano gli altri di parte avversa.
«È una vigliaccata.»
«Gli sta bene.»
«L'importante è che guarisca e torni al suo posto in Comune.»
«Se ha un minimo di faccia dovrà dare le dimissioni da sindaco!»
Cento e cento bocche parlavano ancora di Peppone e Peppone, sul suo vecchio camion, fuggiva inseguito dal terribile complesso del borghese che nei paesi miete vittime in tutti i ceti, anche in quello proletario.

*

Passarono dei giorni e, dopo la notizia del pignoramento, arrivò in paese il bando della vendita all'asta delle nuove macchine di Peppone
.«Gesù» disse don Camillo al Cristo mostrandogli il comunicato sul giornale «come vedete, un Dio c'è!»
«Dillo a me» rispose sorridendo il Cristo.
Don Camillo abbassò confuso il capo:
«Perdonate la mia balordaggine» mormorò.
«La balordaggine causata dalla tua lingua maldestra, don Camillo, è perdonabile. Non l'altra, quella che scaturisce dal tuo intimo convincimento. Dio non si occupa di sequestri e di vendite all'asta. Quello che sta accadendo a Peppone è indipendente dalle sue colpe. Come non dipende da nessun merito nascosto se uomini disonesti hanno fortuna negli affari.»
«Gesù, egli ha bestemmiato il Vostro nome ed è giusto che abbia una punizione. Tutta la brava gente del paese è convinta che questi guai gli siano accaduti perché ha respintola benedizione della casa.»
Il Cristo sospirò:
«E cosa direbbe tutta la brava gente del paese se, invece, gli affari di Peppone fossero andati bene? Che ciò è accaduto perché ha rifiutato la benedizione della casa?».
Don Camillo allargò le braccia:«Gesù:
relata refero… La gente…».
«La gente? Cosa significa "la gente"? In Paradiso la gente non entrerà mai perché Dio giudica ciascuno secondo i suoi meriti e le sue colpe e non esistono meriti o colpe di massa. Non esistono i peccati di comitiva, ma solo quelli personali. Non esistono anime collettive. Ognuno nasce e muore per conto proprio e Dio considera gli uomini uno per uno e non gregge per gregge. Guai a chi rinuncia alla sua coscienza personale per partecipare a una coscienza e a una responsabilità collettiva.»
Don Camillo abbassò il capo:
«Gesù, l'opinione pubblica ha un valore…».
«Lo so: fu l'opinione pubblica a inchiodarmi sulla croce.»

*

Venne il giorno della vendita all'asta e piombarono come falchi in paese gli avvoltoi della città: erano organizzati perfettamente e, con quattro soldi, si divisero le spoglie di Peppone. Don Camillo, che, anche lui, era andato ad assistere al grande spettacolo, tornò piuttosto cupo.
«Cosa dice la gente, don Camillo?» gli domandò il Cristo. «È contenta?»
«No» rispose don Camillo. «Trovano brutto che si rovini così un poveretto approfittando del fatto che è malato, lontano e non può occuparsi dei suoi affari.»
«Don Camillo, sii sincero: cosa dice, con precisione, la gente?»
Don Camillo allargò le braccia:
«Dice che, se ci fosse un Dio, queste cose non succederebbero».
Il Cristo sorrise:
«Dall'osanna al crucifige il passo è breve, don Camillo».

*

La sera stessa in Consiglio comunale ci fu burrasca grossa; l'unico consigliere d'opposizione, Spiletti, portò il discorso sul sindaco:
«Sono oramai due mesi che non si ha più nessuna notizia del sindaco: egli si disinteressa di ogni cosa che accade nel paese, anche di quelle che lo riguardano direttamente. Dov'è? Come sta? Cosa fa? Facendomi interprete di un vasto strato della cittadinanza esigo una precisa risposta»
.Il Brusco, che fungeva da vicesindaco, si alzò:
«Mi riservo di rispondere dettagliatamente domani».
«Non credo di aver chiesto di venire a conoscenza di segreti di Stato!» replicò Spiletti. «Esigo una risposta immediata: dov'è il sindaco?»
Il Brusco si strinse nelle spalle:
«Non lo sappiamo».
La gente che assisteva alla seduta rumoreggiò: era una cosa incredibile.
«Non si sa dove sia il sindaco!» urlò Spiletti. «Allora si metta un annuncio sui giornali: "Competente mancia a chi riporterà un sindaco di colore rosso smarrito due mesi fa".»
«C'è poco da fare gli spiritosi!» gridò il Brusco. «Nessuno sa dove sia il sindaco: neanche sua moglie.»
«Io però lo so» disse una voce. Ed era don Camillo.
La gente ammutolì. Il Brusco impallidì.
«Ditelo, se lo sapete.»
«No» rispose don Camillo. «Però vi ci posso portare domattina.»

*

Nella triste periferia di Milano, nel cantiere di un grosso casamento in demolizione, Peppone stava sbadilando cupo a fianco del suo camion che andava riempiendo di calcinacci e rottami.
Suonò la sirena del mezzogiorno e Peppone, buttato il badile lontano, trasse fuori dalla giacca appesa nella cabina dell'autocarro un grosso pane imbottito di mortadella e l'Unità, andò a sedersi con la schiena alla palizzata, a fianco degli altri manovali, e incominciò a mangiare leggendo il suo giornale.
«Signor sindaco!»
La voce acuta di Spiletti lo riscosse facendolo balzare in piedi. Si trovò davanti al Consiglio comunale al completo.
«Non ci sono sindaci, qui!» rispose.
«Il guaio è che non ci sono sindaci neppure al paese» replicò lo Spiletti. «Vuol dirci dove possiamo trovarne uno?»
«Affari che non mi riguardano» affermò Peppone rimettendosi a sedere.
«Ho l'impressione che lei sia guarito completamente»disse lo Spiletti. «E che, comunque, sia in grado di scriverci una cartolina di saluti.»
«A chi? A lei?» esclamò Peppone. «Al rappresentant edella cricca clericale? Lei non ha un'idea come io stia bene non pensando a lei.»
«Il suo non è linguaggio da sindaco» protestò lo Spiletti.
«Il mio è il linguaggio di un uomo libero!»
«Bene!» dissero i manovali che avevano smesso di mangiare e si erano affollati attorno a Peppone e al Consiglio.
«Se vuol essere libero dia le sue dimissioni!» urlò Spiletti.
«Già, per far piacere a te!» commentò ironica la massa dei manovali. «Tieni duro, compagno.»
«Se non vuol dare le dimissioni, desidereremmo sapere quali siano le sue intenzioni!»
Peppone scrollò le spalle.
«Se lei invece di fare il suo dovere in paese, preferisce rimanersene a divertirsi a Milano, si diverta!» urlò lo Spiletti. «E dia le dimissioni!»
«Te le facciamo dare a te le dimissioni!» commentò la massa. Ma Peppone si volse:
«Silenzio, ragazzi» disse con voce autoritaria Peppone.«Qui siamo in una amministrazione democratica e le minacce non funzionano.»
Il Brusco, il Bigio e il resto della banda si erano seduti attorno a Peppone e lo stavano guardando in silenzio.
«Capo» disse il Brusco cupo «perché ci hai abbandonato?»
«Io non abbandono nessuno!»
«Come facciamo per la strada nuova? Qui c'è la risposta del Ministero.»
Il Brusco porse un foglio a Peppone che lo prese e lo lesse.
«Fino a quando al Governo ci sarà certa gente non si combinerà mai niente di buono!» affermò Peppone.
«Lei non butti in politica l'amministrazione!» urlò Spi-letti. «Faccia invece una proposta concreta.»
«L'abbiamo già fatta a suo tempo» disse il Bigio.
«Sotto le sparate demagogiche non c'è niente di concreto!» strillò lo Spiletti.
Lo Smilzo replicò. Intervenne Peppone e la discussione si fece serrata.
E così si svolse, fra le macerie di una casa milanese in demolizione, la più straordinaria seduta di Consiglio comunale dell'universo.
E fu una cosa lunga e, quando furono le cinque e il guardiano disse che lui non voleva sapere storie e che doveva chiudere il cantiere, il Consiglio si trasferì, opposizione compresa, sul cassone del camion e Peppone montò sulla cabina e mise in moto il motore:
«Andiamo a cercare un posto più tranquillo» disse.

*

 Non si sa come accadde, forse per la scarsa conoscenza della topografia di Milano: il fatto è che, a un bel momento,il camion si trovò a navigare sull'asfalto della Via Emilia.
Peppone guidava a denti stretti: voleva dire qualcosa da un sacco di tempo e non riusciva a dirlo.
A un tratto diede una brusca frenata.
Uno dei soliti maledetti dell'autostop gli si era parato davanti e col pollice faceva segno che voleva andare in giù anche lui.
Aveva nella mano sinistra un panettone e un palloncino della «Rinascente». In testa portava un cappello da prete.
Lo Smilzo, che stava seduto al fianco di Peppone, scese e prese posto sul cassone assieme al Consiglio.
Don Camillo salì e Peppone innestò la marcia e partì con uno strattone da carro armato.
«Che io debba sempre aver certa gente tra i piedi?» borbottò.
Il camion pareva una sedici cilindri da corsa e dava l'i-dea che dentro il cofano, al posto di un motore, ci fosse tutta l'orchestra di Toscanini.
Apparve a un tratto, lontano, dietro l'argine, il campani-le del paese.
«Mah!» sospirò Peppone.
«Chi dice "mah!" il cuor contento non ha» commentò don Camillo.
«Chi "mah!" non dice non è felice» concluse un'altra voce che veniva da chi sa dove e che soltanto don Camillo poteva udire.
Roba che succede in quel paese in riva al fiume, in quel piccolo paese che dovrebbe esser grande come il mondo.

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