martedì 16 luglio 2013

La vita giocatevela bene

Vorrei riprendere, in occasione dell'ormai prossima GMG; la tradizione del racconto al mese, pubblicando qui di seguito una riflessione di don Tonino Bello dedicata proprio ai giovani, da lui rivolte ai diplomandi dell'istituto superiore di Terlizzi (Ba). Questa può dare adito ad alcuni spunti di utile riflessione in preparazione all'evento di Rio:

"1- Le mie parole vengono dal cuore

Cari ragazzi, al termine di questo vostro “curriculum” scolastico, io vorrei dirvi qualche cosa che vi apra il cuore a una grande speranza.
Non voglio dirvi delle parole fatue, vuote, di semplice incoraggiamento, quasi un’arringa come fa il capitano che chiama i marinai sulla tolda della nave e dà un incoraggiamento, uno strattone. No… Vorrei dirvi una parola di fiducia, di speranza.

Ieri mattina sono stato fortemente colpito quando sono andato a trovare i bambini delle scuole materne. Stavano lì tutti intorno a me. Poi a un certo momento la maestra ha chiesto ai bambini:
“Chi è questo signore?” E i bambini …che ne sappiamo? …il.. il.. ve…vescovo. E chi è il vescovo? Una bambina di nome Sara, bellissima, ha detto: “È quello che fa suonare le campane!”…

Io penso che non ci sia definizione più bella di questa. Non quello che suona le campane, ridotto a rango di sacrestano…
Ma il vescovo “è quello che fa suonare le campane”, a me sembra che sia una stupenda definizione.
Il vescovo, il sacerdote, il credente è colui che fa suonare le campane a stormo, come a Pasqua, o nelle feste e sagre paesane delle vostre città. Quando suonano a stormo le campane nei giorni di festa che sembra davvero una feritoia che ti introduce nella Pasqua e al Sabato eterno. Il vescovo è quello che fa suonare le campane, cioè colui che introduce la gioia nel cuore della gente. Poi la bambina si è fatta più audace, è venuta vicino a me e ha detto: “Mi dai quella collana?”… Simpaticissima.

Ieri i bambini erano tutti quanti loquaci. Però ce n’era uno in disparte. Mi sono avvicinato e gli ho chiesto: “Tu, come ti chiami?”… Niente, non voleva rispondere. Ma, per farlo parlare, dissi: “Vedi qua? Cos’è questa? …la..la cro.. croce. E chi è stato messo sulla croce? Ge..Ge …Gesù, vedi, questo è Gesù”.
Allora il bambino finalmente ha aperto bocca: “Non mi sembra proprio!”… È bellissimo con i bambini…

2 -Dissetatevi alla fonte viva

Cari ragazzi, che state sperimentando la soglia dei 17/18 anni, quanto vorrei augurare a voi la trasparenza degli occhi di quei bambini che ho incontrato ieri e può essere mantenuta. Se voi portate avanti questo bisogno di felicità che voi avvertite nel vostro cuore, non andate ad appagarlo in cisterne screpolate, a fontane inquinate, a botti che hanno ormai il vino diventato aceto. Perché, vedete, una cosa accomuna tutti quanti: i credenti, e i non credenti, gli atei e i santi, le monache di clausura che si alzano nel cuore della notte in preghiera e coloro che nel cuore della notte fanno delle rapine a mano armata, oppure negli angiporti misteriosi consumano chissà quali delitti.
C’è una cosa che accomuna tutti quanti, il vescovo e voi, un adolescente e una donna anziana… è il bisogno profondo di felicità che abbiamo; perché tutti quanti abbiamo un bisogno incredibile di felicità e sperimentiamo anche che non c’è nulla capace di appagarci.
Sperimentiamo davvero, credenti e non credenti, quello che diceva Sant’Agostino, anche lui alla ricerca ansiosa di brandelli di felicità, che potessero riempirgli il cuore.
Nelle Confessioni scriveva così: “O Dio, tu ci hai fatto per te e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te”! …Ma non la morte, no… finché non ti cerca e non ti trova, il nostro cuore è inquieto! Abbiamo una inquietudine profonda.

3 - Ci accomuna questo bisogno di felicità

Ce ne accorgiamo tutti quanti. Soltanto c’è chi appaga questo desiderio di felicità bevendo a fontane inquinate e c’è chi lo appaga bevendo a fontane più pure, più libere.
Chi si tuffa nell’alcool, nella droga, nel piacere, chi insegue sogni di grandezza, chi si lascia affascinare dal mito della bellezza, al punto che si dispera, ad esempio, per avere i capelli ricci anziché lisci, lunghi invece che corti, oppure per voler avere gli occhi celesti. C’è gente che si dispera per questo.
C’è gente che pensa di poter appagare il suo bisogno di felicità tuffandosi a capofitto anche in amori fluttuanti, che durano uno spazio di un’estate. D’estate si va al mare, un campeggio, un’amicizia… Ti rimane scolpita nel cuore una persona, un volto, un nome. Poi torni a casa, la sera stessa, una telefonata, poi, il giorno dopo una cartolina, dopo una settimana, un mese una mezza cartolina, poi finisce tutto e ti accorgi che vai alla ricerca di ben altro. Non ti appaga nulla.
Ecco perché dicevo quando sarete arrivati al quadro dei risultati del vostro esame (esami che saranno senz’altro positivi e pieni di gratificazione per voi), dopo 5 minuti, rimarrete già delusi.
Io mi ricordo quando mi sono laureato, inseguivo tanto quel giorno. Arrivarono anche i miei fratelli per essere presenti. Feci l’esame, andò molto bene. Poi andammo a pranzare in un ristorante. Dopo il pranzo, mi ricordavo il titolo di un romanzo di Fallado: “E ora…pover’uomo?”. Mi ricordo quando arrivai alla frutta. “…e adesso? ..è finito? Si è finito! È possibile, l’ho inseguito per tanto tempo… C’è qualcosa che scavalca gli appagamenti momentanei della tua vita.

4 – Coltivate i grandi sogni

Ma anche per ciò che riguarda il vostro amore, la vostra vita affettiva. Anche voi coltivate dei sogni bellissimi, voi ragazzi e ragazze, trovare un compagno o una compagna che dia pienezza alla vostra esistenza, che vi dia il gaudio, la gioia di vivere, su cui puntare, su cui giocarsi tutta l’esistenza. Si, è bellissimo. Coltivate queste cose. Coltivatele in trasparenza, in purezza interiore, perché non c’è nessuna esperienza al mondo più bella di quella che voi attualmente vivete alla vostra età, nel proiettare su di una creatura i sogni del vostro futuro. È bellissimo.
Coltivate questi sogni diurni, quelli che si fanno all’alba e si realizzano. Queste non sono utopie, ma sono utopie. Non sono il non luogo, ma il buon luogo, dove si sperimenta la felicità. Però ricordatevi che anche questa esperienza è contrassegnata dal limite, perché la ragazza che ti sta accanto nella vita può essere splendida, bellissima come la diva più luminosa di Hollywood degli schermi televisivi. Quel ragazzo che ti sta accanto può essere il più bravo, il più svelto degli atleti che vediamo ogni tanto ingombrare i nostri teleschermi. Può essere intelligente… ma dopo ne sperimenti il limite!
Grazie a Dio, meno male che tutti hanno un limite e qualche volta non c’è soddisfazione più grande, quando si leggono certi articoli su questo o quel altro personaggio, e ti accorgi che anche lui ha i suoi difetti. C’è il limite. Allora questo bisogno di felicità ce lo abbiamo tutti quanti. Alcuni lo appagano in questi modi a volte effimeri. Per esempio un modo per appagare questo desiderio di felicità è quello dei soldi.
C’è della gente che è presa, strangolata dalla smania di possedere, di accumulare, di avere. È incredibile. Quanta gente c’è che per il denaro si vende l’anima, si spappola la vita, si sgretola la felicità domestica, frantuma perfino quel focolare che ha costruito per inseguire il denaro, i soldi, il possesso.

5 - È vera felicità?

Non potrò mai dimenticare quando, qualche anno fa, andai negli Stati Uniti a trovare un amico molfettese. Era partito come calzolaio da Molfetta. Era diventato poi molto, molto ricco, un principe del dollaro. Una sera quando ho finito la funzione in chiesa per tutti i molfettesi che erano venuti alla celebrazione della Madonna dei martiri, aveva voluto invitarmi e aveva mandato una macchina lunga fino lì in fondo. C’era tutto in quella macchina, mancava soltanto la vasca da bagno. Mandò il suo autista personale, in una villa lussuosa con 2/3 piscine, una cosa da nababbo. E quest’uomo, a tavola, continuava a parlarmi delle sue ricchezze. Si vedeva la smania di chi era arrivato da una condizione molto povera, nel presentarsi come un uomo riuscito. Quando disse che aveva intenzione di mettere lo sterzo d’oro, io gli accennai che sulla terra ci sono moltissimi poveri. Lui mi guardò e io sorrisi alla ragazza, sua figlia, che capiva l’italiano e mi ricambiò con il sorriso e poi mi accorsi che era paralitica. Era l’unica sua figlia. Dicevo: “ma guarda, quest’uomo arrivato, ricchissimo, anche lui ha il buco nero di questa sofferenza”.

6 – E tu sei felice?

Ragazzi, che cosa voglio dirvi con questo discorso? Che la vita è dura, è difficile per tutti quanti. Però io posso indicarvi oggi una fontana a cui potersi abbeverare e trovare non la felicità piena, ma l’appagamento interiore.
Trovare soprattutto la forza per camminare, per andare avanti e trovare veramente gli estuari dove la felicità si trova, nel Regno di Dio, l’ascolto della Parola di Dio, del Vangelo. Io, lo so benissimo, devo rispettare la laicità della scuola.
Non sono venuto a farvi una catechesi oggi, però vi dico soltanto, se può servire a voi, l’esperienza che ho fatto io. Ma vorrei proporvi: “Tu sei felice? Tu che vai ad abbeverarti a questo bar, a questa fontana…?”
Ma i miei problemi il Signore non me li risolve, li devo risolvere io! …Però Lui mi dà il senso, l’orientamento ai miei problemi, al mio tormento, alle mie lacrime, al mio pianto, alla mia gioia, al mio camminare. Lui dà senso. Non sono spezzoni slegati. Non sono come i bulloni della mia macchina, quando mi sono fermato dal meccanico. E quello in 5 minuti ha ridotto il mio motore a pezzetini. Bulloni, viti… Ha sbullonato tutti gli ingranaggi.
Molte volte la nostra vita è fatta di cose sbullonate tra di loro, messe nella coppetta della ruota, come fa il meccanico, e noi non sappiamo più decifrare l’ingranaggio, l’avvitamento giusto e andiamo inseguendo gli spezzoni. Si, perché anche voi ragazzi, alla vostra età provate momenti di felicità e tu vorresti fermarli per sempre.
7 - Ma tutto passa.

Questa è l’angustia. Momenti di ebbrezza, di felicità ne abbiamo tutti. L’incontro con una persona, con un amico che ti fa un complimento, un sorriso, uno che accoglie una tua proposta, uno che risponde al tuo invito… ti dà felicità. Una notizia bella per te, per la tua famiglia… Ma è tutto fugace. E soprattutto ciò che stringe la tua felicità che la riduce a poco e il presentimento che tutto finisce, anche nelle feste più grandi.
Quando io andavo a casa a Natale mi trovavo con i miei fratelli, con mia madre a Pasqua, Pasquetta, era bello. Tutta la famiglia riunita, i giochi con i più piccoli. Ricordo che c’era sempre mia madre che a Natale, quando si arrivava alla frutta, al caffè diceva: “è passato!”
E poi diceva sempre: “Chissà se l’anno prossimo ci sarò”. Poi c’è stato un anno in cui non c’è stata più. Ma il presentire che finisce la gioia. Questo ti dà una tristezza. Anche per voi il presentire che finisce una stagione, finisce la bellezza fisica…
Sarete sempre belli e belle se, più che coltivare una ruga perchè rientri, curerete la lucerna, il fuoco che sta dentro di voi e si sprigiona attraverso i vostri occhi, come dice il vangelo: “Lucerna dell’anima è l’occhio”.
Attenti ragazzi, questo è vero. Se voi berrete dell’acqua che Gesù Cristo ci ha indicato, alla fontana che lui ci ha indicato, troverete il significato a tutti i vostri problemi. Non ve li risolve, ma troverete il significato. Saranno sbullonati i vostri problemi, ma avranno un orientamento. Provate per credere.
Il fatto è che qualche volta siete distanti da lui, avete reciso i contatti con il Signore, perché a volte vi sembra che sia un fatto da donne leggere il vangelo e prestar ascolto alla voce del Signore.

8 – Una splendida famiglia

Quest’estate mi hanno telefonato degli amici chiedendomi se potessi ospitare in casa mia, a Molfetta, una famiglia di cecoslovacchi, professori di università, che non avevano fatto mai carriera per non aver fatto professione di ateismo.
Hanno chiesto di venire a Molfetta. Io li ho accolti e sono stati un mese a casa mia. Molto discreti. Si parlava tra me e loro in latino. Vi dico solo questo episodio.
Il primo giorno (avevo dato loro le stanze e la cucina) hanno voluto invitarmi a pranzo e ci sono andato. Erano tutti intorno, marito, moglie e tre figli (18,20 e 22 anni), simpaticissimi. La mattina andavano al mare, tornavano a mezzogiorno.
Ci siamo messi intorno la tavola. Abbiamo fatto il segno di croce. Lui, il papà, non ha detto a me vescovo: dì tu una preghiera… “In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen… Pater noster…” Tutti. Poi un minuto di silenzio. Poi un canto a cinque voci, polifonico. Emergeva la voce della madre.
Poi ci siamo messi a mangiare. Io pensavo che avessero fatto questo perché c’ero io. No. Ogni giorno all’una e un quarto, puntuali. E quando sono partiti, dopo 2 o 3 settimane, pioveva come in questi giorni. Li ho aiutati a caricare la macchina. Sono sceso giù, mi hanno salutato.
Poi si sono insieme inginocchiati sul bagnato e volevano la mia benedizione. Io andavo in maniche di camicia. Li ho benedetti. Poi, in ginocchio, un altro canto d’addio, a 5 voci…
Fortissimi! Se certe cose le vedeste, io sono convinto che anche voi vi rendereste conto che non è acqua fatua, di poco conto… ma veramente acqua che disseta.

9 – Una missionaria indimenticabile

L’altro giorno ai vostri compagni più piccoli, ho parlato di una suora che ho incontrato questa estate quando sono andato in Africa (in Etiopia), al centro dell’Africa nera, selvaggia, là dove c’è un medico ogni 73mila abitanti e in un grande ospedale di circa 400 persone, istituito dal vescovo del posto, mantenuto con i piccoli risparmi. Unico medico:una suora giovanissima e splendida, anche fisicamente, una spagnola, di un sorriso stupendo, in jeans, vestiva un camice bianco, sembrava un angelo. E correva ad aiutare di qua, di là…
Ho raccontato l’altro giorno quello che mi capitò di vedere. Una ragazza, al suo primo parto. Le aveva salvato la vita. Dopo questa operazione sono venute dalla foresta delle donne gridando perché era successo non so che… Lei si è tolto il camice bianco, si è messa il casco, ha preso la moto e, via di corsa. Il vescovo piangeva nel vedere questa suora che aveva bruciato la sua vita per gli altri. Tant’è che dopo, altri, in attesa che ritornasse dicevano: ma come fa questa, a vivere? Poi ha detto a me: vedi, mandaci qualche aiuto. Il giorno stesso, tornati ad Amassan, in centro diocesi, ricordo di aver scritto a don Riccardo Ruotolo, presidente dell’ospedale di Padre Pio, all’altro presidente dell’ospedale cattolico di Acquaviva e alla superiora dell’ospedale di Tricase, descrivendo la situazione. Lì dove ci sono centinaia di medici, che quando c’è un concorso per 2 posti, ne arrivano…

10 – Si chiamava “Isabel”
Mi sono dimenticato quel giorno di portare in macchina un pacco di medicinali che mi avevano dato a Bari. Il vescovo disse: non importa, ritornerai domani. Come domani? 700 chilometri all’andata e 700 al ritorno… Ti manderò col mio autista, disse.
Il giorno dopo sono ritornato. Sono arrivato lì in ospedale verso l’una. L’ospedale era schiacciato da un sole equatoriale, un caldo da morire, non si muoveva anima viva. E ho detto: vorrei parlare con suor Isabel. E chi la trova? Non c’è nessuno, solo gli ammalati, e le mosche, e fuori le donne, cioè le mogli di questi che preparavano il pasto, perché non è che l’ospedale dà il pasto. Abbrustolivano un po’ di mais. E’ venuta una bambina piccola. Aveva degli occhi grandi e belli come tutti i bambini etiopi, tanto che il vescovo diceva: quando tu vuoi sapere quanta gente c’è in assemblea, conta il numero degli occhi, poi dividi per 2 e sai quante persone ci sono. Sono tutt’occhi.
È venuta, mi ha preso per mano, mi ha condotto fuori dall’ospedale. C’era una capannetta con sopra una croce, era una chiesa. Ho spinto l’uscio di canne, sono entrato.
Un piccolo tabernacolo, una lampada. Si inginocchiava davanti, nel silenzio più assoluto del meriggio, questa creatura eccezionale, che io non ero mai riuscito a trovare in Europa con una tale forza d’urto. L’ho vista lì nel cuore dell’Africa e mi sono reso conto della fontana da cui questa donna attingeva la vitalità, l’esuberanza. Non la bigotteria, ma la speranza e anche la capacità professionale.

11 – La vita è vostra

Ragazzi miei, questo vorrei dirvi: “La vita, giocatevela bene!” Non tanto perché la si vive una volta sola e la gioventù passa in fretta, ma giocatevela bene perché qualche volta correte il rischio che in questa vostra smania di libertà, di grandezza, di orizzonti larghi, invece che raggiungere gli orizzonti larghi, vi incastonate nei blocchi…
Non so se voi avete letto un libro, ora non mi ricordo il titolo… Io sono andato a vederla quella piazza, piazza della Concordia a Parigi. Al centro c’è un obelisco molto alto e circondato da una grande inferriata.
In questo libro si descrive un ubriaco che, di notte giunge barcollando da una strada che sbocca in questa piazza.
Questo ubriaco, che va ciondolando lungo la strada e poi finalmente arriva all’inferriata di questo recinto. Si aggrappa e gira più volte perché tenta di salire. Vuole evadere, alla ricerca della libertà.
Poi si alza, si accascia una, due, tre volte ma è così preso dall’alcool che non sta in piedi, fino a quando spunta l’aurora e lui finalmente, i fumi del vino se ne sono andati, l’ubriacatura è passata, sfinito, scivola e crolla sulle inferriate e si accorge, mentre i primi raggi del sole illuminano la piazza, che quello è un recinto e non lo spazio della libertà. Non avrebbe operato un evasione, ma si sarebbe incastrato nel recinto della prigione.
Qualche volta, ragazzi, noi corriamo questo rischio: andiamo alla ricerca di obbiettivi che pensiamo ci debbano liberare, ma invece ci danno proprio la prigione. Attenti. Perciò ho detto: vivetela bene la vostra vita, perché vi capita di viverla una volta sola. Non bruciatela. È splendido. Soprattutto se voi la vostra vita la mettete a servizio degli altri.

12 – Non ho scampoli, da vendere

Non è la conclusione moraleggiante di un vescovo di passaggio che viene a rifilarvi degli scampoli di omelia perché non è riuscito a riciclarli in chiesa. Allora le fettuccine che gli sono rimaste viene a darle qui al magistrale, a quelli dell’ultimo anno. No, no. Lo sto dicendo davvero. Questo fatto umano che vi dà una grande voglia di vivere. Io sono convinto, ragazzi, poi voglio chiudere per dare a voi la parola (oh, non chiedetemi la collana!…)
Sono convinto che se voi, la vostra vita la spendete per gli altri, non la perderete… Perderete il sonno, ma non la vita. La vita è diversa dal sonno.
Perderete il denaro, ma non la vita. La vita è diversa dal denaro.
Perderete la quiete ma non la vita. La vita travalica la quiete, soprattutto la quiete sonnolenta, ruminante del gregge.
Perderete tantissime cose… Perderete la salute ma non la vita.
13 – Un cuore che vi faccia male

Abbiamo sentito una canzone qualche sera fa, nella cattedrale di Terlizzi per un incontro dei giovani.
Facemmo mettere una canzone di Zucchero che diceva pressa poco: ..voglio amare fino a che il cuore mi faccia male…
Perché se avrete questa apertura, lo dico a tutti, al di là di ogni esperienza religiosa, anche se c’è qualcuno (a) molto lontano.
Sono convinto che è una cosa che tocca anche loro, starei per dire, soprattutto loro.
Vi auguro che possiate veramente amare la vita, amare la gente, la storia, la geografia, cioè la terra, a tal punto che il cuore vi faccia male e ogni volta che vedrete, non soltanto queste ignominie che si compiono, queste oppressioni crudeli, queste nuove Iroscime e Nagasaki e questi nuovi campi di Mattausen e di sterminio.
Lo vedrete fra 5/6 anni come i momenti che stiamo vivendo in questi anni passeranno nella storia con una gravità forse più grande di quella degli episodi di Iroscima o dei campi di sterminio.
Quello che sta capitando oggi, nel silenzio generale di tutti: i Curdi massacrati come gli Irakeni massacrati, con le guerre che hanno mietuto Irakeni, Americani… ma che ci importa delle bandiere. Quando muore un uomo è sempre una tristezza incredibile. Io penso che quando voi sentite queste cose, dovreste sentire il cuore che vi fa male.
Ma noi il cuore ce lo sentiamo triste soltanto quando vediamo le cose epidermiche. Perché vedere che la moglie di un marinaio, che ieri è morto nell’ incidente di Livorno, che piange e che viene ripresa dalle zoommate impietose delle TV, anche a te il cuore fa male, ma dopo passa, perché la televisione ci sta abituando a girar subito pagina.
Però il grido violento che si sta sprigionando dalla terra, soprattutto dalle turbe dei poveri, quello deve risuonare continuamente dentro di noi.
Vi auguro che il cuore vi faccia male, come dovrebbe far male anche quando vedete lo sterminio della natura. Sentiremo fra poco che cosa significa la fiumana di greggio che si è sprigionata nel golfo persico.
Sentiremo, purtroppo (notizia di questa mattina) della fiumana di greggio disperso nel golfo di Genova. Non so se sono 80 o più quintali di greggio nel mare.
Ma vorrei dire, ragazzi, di fronte a queste cose voi dite: che cosa possiamo fare? Ma io credo che nel piccolo qualcosa potreste fare. Il rispetto, il rispetto dei volti, il rispetto delle persone, la bellezza, la cura della bellezza, che non è qualcosa di effimero. Sapete che Dio è la bellezza. È la bellezza che salverà il mondo.
Coltivate la bellezza del vostro volto, anche quando avrete 80 anni. La bellezza del vostro corpo, del vostro vestire, cioè l’eleganza, non fatta di abiti firmati. No, non quella.
L’eleganza, la semplicità, la bellezza del vostro sguardo. Non potete immaginare quanta luce dà a chi è triste, un sorriso. Non sono un romantico, no.
Non potete immaginare quanta voglia di vivere produce una sguardo generoso che voi darete a una persona che è triste, a un passante. Qualche volta tu ti accorgi che , per aver fermato la macchina, magari perché un passante, un ragazzo possa attraversare la strada, ti vedi ricambiato da un sorriso. È una cosa splendida.
Non c’è ricchezza al mondo, non c’è denaro che ti ripaghi. Queste cose, voglio dire, il rispetto del volto, dell’altro, dei luoghi, la scoperta di Dio, anche voi ragazzi che probabilmente siete molto scettici, nelle cose belle che lui ci dà e la natura. L’intuire la presenza di questo Essere più grande di noi, che fa i miracoli ogni giorno e noi non li sappiamo cogliere.

14 - L’albero di ulivo e il taglialegna

Il poeta romano, Trilussa, adesso sta entrando anche nella antologia di letteratura italiana, poiché fino a qualche anno fa veniva snobbato, oggi la critica gli dà un posto di prima grandezza. Tra tutti i suoi versi vi voglio ricordare questo, ora non ricordo bene il titolo. È un dialogo tra un albero di ulivo e il taglialegna che sta per tagliare l’albero.
L’albero dice: “ma perché mi strappi dalla mia terra? Che vuoi? Mi fai trasformare in una scrivania come quel faggio?”. Risponde: “Ma no, che dici? Tra poco tu diventerai statua di un santo. Ti metteranno sull’altare, ti porteranno in processione. Sarai santo. Potrai fare tutti i miracoli che vuoi.”. Ma l’albero rispose: macchè. Così sono i versi:
L’albero disse: ti ringrazio tanto, ma il carico di ulive
che ho addosso, non ti pare un miracolo più grosso
di tutti quelli che farei da santo?
Tu stai sciupando tante cose belle, in nome della fede.
Ti inginocchi se vedi che un pupazzo muove gli occhi
e non ti curi di guardare le stelle.
Mentre gli diceva queste parole si intravvide una luce
d’improvviso, un raggio d’oro
e Dio dal paradiso benediceva l’albero,
con il sole”.
Bellissimo.
Ragazzi, vorrei dirvi questa scoperta della santità delle cose, non della sacralità, perché voi siete molto consumatori di sacralità, ma poco protagonisti di santità.
La santità la possono raggiungere anche i laici.
Vedete, quando vi dico che Gesù vi dia tanta voglia di vivere, vi voglio dire anche che Gesù vi dia tanta voglia di scoprire la santità delle cose, del mare, la bellezza della terra, dei vostri giardini, dei prati, delle pareti della scuola, starei per dire, delle pareti dei bagni di tutte le Agip che incontrerete quando farete la gita scolastica sull’autostrada… Non la farete?.. Va bene!
Ma mi capite? E ora, siccome passa il tempo, mi fermo davvero. Vorrei che sull’onda di queste suggestioni molto fugaci, poiché sono più le cose che si tralasciano di quelle che si dicono quando si parla, ci fosse ora il vostro intervento.
NB. Seguono le domande con relative risposte…
Trascrivo qui soltanto le parole finali, della conclusione.
15 – La vita e la valigia

“…Tanta gente è triste perché non attende niente nella vita. Ma voi cercate di dare agli altri senza calcolo, senza pensare manco se va a buon porto quello che voi avrete dato. E soltanto quando avrete dato, vi accorgerete di avere una vita ricchissima. La vita vuota non è quando si svuotano i vostri beni materiali, ma quando si svuota di ideali, ed è pesante allora. Perché la vita non è come la valigia. Una valigia quanto più è piena, tanto più è pesante. Ma la vita quanto più è vuota, tanto più diventa pesante. Io vi auguro che possa essere leggerissima la vostra vita proprio perché sovraccarica di questa solidarietà che dà sapore a tutti i vostri giorni. Rimanete sempre giovani di vent’anni, anche quando si incurveranno le vostre spalle per il peso della vita”."

Nessun commento:

Posta un commento